DA “RIA NOVOSTI” ALLA “RT”:
LA GLOBALIZZAZIONE DELL’INFORMAZIONE A FIRMA DI VLADIMIR PUTIN
«In America si assiste ad una vera e propria isteria antirussa. Vorrei io avere questa macchina di propaganda in Russia. Purtroppo non è così. Noi non possediamo dei mezzi di informazione globale come CNN e BBC. Per il momento non abbiamo queste possibilità»
È quanto ribadito dal presidente russo Vladimir Putin durante il suo ultimo intervento al Forum Valdai Discussion Club di Sochi lo scorso 27 ottobre, un estratto di una disquisizione durata tre ore sul potere odierno della globalizzazione che a suo dire «dovrebbe essere per tutti e non per pochi eletti». Un punto di vista “interessante”, specie se analizzato alla luce delle recenti vicende che hanno coinvolto il colosso di informazione digitale RT. Si tratta del network di informazione russo ben radicato sia in Occidente sia in Medio Oriente, i cui contenuti ispirati alla visione della politica e della società russa offerta ai suoi utenti stranieri attraverso - vuoi o non vuoi - la lente spessa del Cremlino, risultano quotidianamente trasmessi in inglese (ha una sede a Washington ed un’altra a Londra) oltre che in arabo, in spagnolo e in tedesco (in Italia è fruibile attraverso la piattaforma Sky e Tivùsat). Proprio in Inghilterra lo scorso 17 ottobre si è gridato allo scandalo della limitazione della libertà di stampa russa a firma di RT - UK, in seguito al congelamento dei conti bancari dell’emittente con sede a Londra ad opera della National Westminster Bank con revoca immediata dei servizi forniti. Da Mosca diretta la replica del Ministero degli Esteri attraverso le parole della portavoce Maria Zacharova: «Sembra che abbandonando l’Unione Europea, Londra abbia lasciato in Europa tutti i propri obblighi sulla libertà di parola». |
Ma veniamo ai fatti, e cioè al percorso quanto meno impervio intrapreso da questa emittente ertasi a paladina della libertà di espressione. La RT è un network sorto nel 2005, inizialmente finanziato attraverso la defunta Agenzia di Informazione Internazionale Ria Novosti di proprietà statale russa in vigore dal 1941, chiusa nel 2013 con un decreto presidenziale a valenza immediata. L’agenzia RIA alla notizia della ristrutturazione indotta dall’alto si esprimeva così: «(si tratta) dell'ultimo di una serie di cambiamenti nel panorama russo, che sembra dirigersi verso un controllo statale sempre più stretto del già pesantemente controllato settore dei media». Al momento della chiusura, suddetta agenzia poteva contare sul lavoro di numerosi corrispondenti attivi in 45 paesi che producevano informazione in 14 lingue. Con lei sempre nel 2013 fu poi “silenziata” anche la stazione radio internazionale Voice of Russia (Radio Moscow) per essere integrate entrambe nella nuova agenzia internazionale, sempre di proprietà statale, Rossiya Segodnya (Russia Today) la cui direzione fu affidata a Dmitry Kiselyov noto per una visione eufemisticamente conservatrice sui temi più disparati (diritti degli omosessuali, posizioni anti-americane e contro i dissidenti). Un provvedimento che, a detta del Cremlino, era volto ad «impiegare i soldi pubblici in modo più razionale». Sarà una coincidenza ma proprio a partire dal 2013 il budget annuale investito dal governo russo in RT è balzato dai 30 milioni di dollari del 2005 a ben 300 milioni di dollari (si pensi che la BBC ne aveva spesi lo stesso anno 367). Oggi gli iscritti al canale YouTube sono 1,466 milioni contro i 1,248 di Vice News e i 732.000 della Cnn. Negli ultimi anni la crescita esponenziale del canale ha potuto beneficiare della concentrazione mediatica operata dal Cremlino, trasformando l’industria dell’informazione made in Russia in una vera e propria holding in cui il brand RT (oltre all’agenzia internazionale Sputnik che copre un’informazione trasmessa in ben 12 lingue) sembrerebbe meglio incarnare la missione annunciata da Kiselyov al momento di ricoprire il suo nuovo incarico di direttore: «Ripristinare nel mondo un atteggiamento giusto verso la Russia, come Paese importante con buone intenzioni».
È indubbiamente singolare che all’estero le buone intenzioni russe si appellino ad un diritto, quello della libertà di stampa, non giustamente riconosciuto entro i propri confini. La strategia sembrerebbe quella di competere armi alla pari con i maggiori stakeholders del settore, spacciando per informazione complementare o controinformazione una linea editoriale che nelle parole della stessa responsabile del network Margarita Simonyan risulterebbe «definita dai principi espressi dallo Stato e dai rappresentanti dello stato Russo».
Una nazione il cui governo solo negli ultimi sedici anni - dal 2000, anno di insediamento di Putin, fino ad oggi - ha dovuto fare i conti con la sparizione o la morte di ben 135 giornalisti, tra reporter, editorialisti, cameramen e fotografi. (Fonte IFJ- International Federation of Journalists).
«Tutti i più alti funzionari accettano d'incontrarmi quando sto scrivendo un articolo o sto conducendo un'indagine. Ma lo fanno di nascosto, in posti dove non possono essere visti, all'aria aperta, in piazza o in luoghi segreti che raggiungiamo seguendo strade diverse, quasi fossimo delle spie. Sono felici di parlare con me. Mi danno informazioni, chiedono il mio parere e mi raccontano cosa succede ai vertici. Ma sempre in segreto. È una situazione a cui non ti abitui, ma impari a conviverci. » sono le ultime parole di Anna Politkovskaja giornalista della Novaja Gazeta, ritrovata morta il 7 ottobre 2006 nell'ascensore del suo palazzo a Mosca.
È indubbiamente singolare che all’estero le buone intenzioni russe si appellino ad un diritto, quello della libertà di stampa, non giustamente riconosciuto entro i propri confini. La strategia sembrerebbe quella di competere armi alla pari con i maggiori stakeholders del settore, spacciando per informazione complementare o controinformazione una linea editoriale che nelle parole della stessa responsabile del network Margarita Simonyan risulterebbe «definita dai principi espressi dallo Stato e dai rappresentanti dello stato Russo».
Una nazione il cui governo solo negli ultimi sedici anni - dal 2000, anno di insediamento di Putin, fino ad oggi - ha dovuto fare i conti con la sparizione o la morte di ben 135 giornalisti, tra reporter, editorialisti, cameramen e fotografi. (Fonte IFJ- International Federation of Journalists).
«Tutti i più alti funzionari accettano d'incontrarmi quando sto scrivendo un articolo o sto conducendo un'indagine. Ma lo fanno di nascosto, in posti dove non possono essere visti, all'aria aperta, in piazza o in luoghi segreti che raggiungiamo seguendo strade diverse, quasi fossimo delle spie. Sono felici di parlare con me. Mi danno informazioni, chiedono il mio parere e mi raccontano cosa succede ai vertici. Ma sempre in segreto. È una situazione a cui non ti abitui, ma impari a conviverci. » sono le ultime parole di Anna Politkovskaja giornalista della Novaja Gazeta, ritrovata morta il 7 ottobre 2006 nell'ascensore del suo palazzo a Mosca.
Di Manuela Avino